Lo scorso 17 marzo il mondo della scuola è sceso in sciopero. In tutto il paese si sono svolte più di dieci manifestazioni.
A Roma, davanti al Ministero dell’Istruzione, un grande presidio, caratterizzato da interventi significativi e numerosi degli organizzatori, ma anche di associazioni, RSU, studenti, precari e strutture varie, ha dato poi vita ad un corteo di 5000 persone, aperto dagli studenti, che si è concluso al Pantheon.
Lo sciopero, promosso dai sindacati di base Cobas, Unicobas, Usb, Anief, FederAta, Orsa e Cub (con l’esclusione della zona di Roma) ha avuto un’adesione del 15%, che è giunta al 20% nelle principali città, dove si sono verificati diversi casi di scuole che sono rimaste clamorosamente chiuse. A distanza di un anno e mezzo dall’entrata in vigore della riforma renziana, la “Buona Scuola” trova ancora la ferma opposizione di una parte importante della categoria. Ed è decisivo, ora più che mai che questa opposizione si faccia sentire. Entro metà aprile infatti il governo ha tempo di emanare gli ultimi decreti attuativi della legge 107, già approvati dal Consiglio dei ministri del 14 gennaio scorso. Solo un’opposizione decisa e diffusa può bloccare questi provvedimenti che si cerca di presentare come puramente tecnici, ma che sono invece di grande rilievo politico.
Questioni come il piano di assunzioni, la revisione del sistema di istruzione da zero a sei anni, l’inclusione scolastica degli studenti disabili, la revisione del sistema dell’istruzione e della formazione professionale, nonché le certificazioni conclusive dei percorsi di studio non sono certo questioni tecniche. Non è una questione tecnica che guida la revisione di una legge fondamentale come la 104 del 1992, che funziona da legge quadro sull’handicap. Così come rispondono ad una precisa logica politica alcuni elementi ricorrenti che attraversano le varie materie su cui i decreti intervengono. Ovunque ritroviamo la volontà di costituire “poli”, dalla scuola dell’infanzia alle “reti di ambito”, in cui concentrare la gestione di risorse e servizi, non certamente in funzione delle esigenze del territorio ma per un obiettivo di taglio della spesa, di contrazione del personale, di esternalizzazione del lavoro, di estensione di precarietà, di decontrattualizzazione.
Ovunque, nei testi dei decreti, ritroviamo la longa manus dell’Invalsi, cui spetterà la valutazione di qualsiasi azione educativa, con l’obiettivo di selezionare, escludere, tagliare. Un esempio fra tutti: se il piano di inclusione di ogni scuola per gli studenti disabili non risponderà a certi parametri, tra cui anche le esternalizzazioni ai vari soggetti, meno costosi, con i quali si vuole ridurre la presenza dell’insegnante di sostegno, l’Invalsi potrà bocciarlo e chiederne la sostanziale revisione.
Questioni cruciali dunque, con cui si vorrebbe portare definitivamente a regime l’operazione “Buona Scuola”: questioni su cui è irrinunciabile l’opposizione più radicale.
Lo sciopero del 17 marzo è caduto in un momento strategico dell’iter dei decreti e si è cercato di depotenziarlo in vari modi. La ministra Fedeli pochi giorni prima dello sciopero ha mostrato disponibilità ad accogliere una proposta del PD relativa alle assunzioni dei precari, forse il più problematico degli otto decreti, e ne ha subito fatto, in quattro e quattr’otto, un Piano transitorio per il reclutamento. Si tratterebbe di un percorso relativamente preferenziale riservato ad una limitata porzione di personale con specifici requisiti; il resto, il grosso dei precari, compreso quello già abilitato con TFA, rimarrebbe in balia del percorso previsto dal decreto, vale a dire tirocinio triennale sottopagato per poter accedere ad un concorso che, se non superato, comporterà la ripetizione del tirocinio. Una sanatoria irrilevante quella fatta balenare dal governo, nella speranza di dividere i precari alla vigilia di uno sciopero importante. Nelle piazze del 17 marzo, la componente più decisa dei precari, insieme agli altri lavoratori, ha respinto con forza i giochetti governativi chiedendo assunzioni immediate su tutti i posti disponibili.
Certamente, come tutte le fasi determinanti, questa è anche una fase difficile, che trova sulla strada vari ostacoli e forme di boicottaggio. Se la compromissione con la politica governativa dei sindacati concertativi è scontata, va comunque rimarcato lo specifico ruolo della CGIL, sindacato che, nonostante tutto, ancora attira troppe fantasie. Non può essere concesso nessun terreno ad una organizzazione che all’indomani dell’approvazione della legge 107 ha subito sollecitato le proprie RSU ad entrare nei comitati di valutazione per l’assegnazione del bonus del merito, che si vanta di favorire l’alternanza scuola lavoro degli studenti presso le proprie sedi sindacali, che ha strumentalizzato la scadenza dell’otto marzo con un’indizione di sciopero del solo comparto scuola, che nella mattina del 17 marzo ha organizzato in molte scuole assemblee sindacali in orario di servizio (stessa strategia utilizzata l’8 marzo per i comparti diversi dalla scuola, nell’ottica, anche allora, di far fallire lo sciopero). Lo scenario è molto chiaro; gli schieramenti pure.
La difesa della scuola di massa è un elemento centrale dell’opposizione alle logiche dei tagli e dei sacrifici imposti dal governo. Questa difesa, che nelle piazze del 17 marzo ha reclamato il ritiro dei decreti attuativi della buona scuola, continuerà sui posti di lavoro, nelle scuole, nei tanti momenti di opposizione a cui quotidianamente siamo chiamati e avrà un momento determinante nella mobilitazione contro i test Invalsi, prossimo appuntamento di sciopero nel mese di maggio.
Patrizia Nesti